Nel linfoma di Hodgkin classico (cHL) le alterazioni genetiche che causano sovraespressione del gene PD (programmed death) 1 sono quasi universali. Nivolumab, un inibitore del checkpoint di PD1 è efficace nel cHL recidivato/refrattario dopo trapianto autologo di cellule ematopoietiche (auto-HCT). Su JCO, Armand et al. hanno pubblicato i dati di sicurezza e di efficacia della monoterapia con nivolumab dopo un follow-up prolungato dello studio CheckMate 205 volto a valutare l’attività di nivolumab in questo setting di pazienti.
Vogt e colleghi hanno pubblicato su JCO i risultati dello studio di fase 2 STORM disegnato per testare l’efficacia di selinexor associato a desametasone nei pazienti affetti da mieloma multiplo refrattario ai principali farmaci attivi disponibili nel mieloma multiplo (MM). Selinexor, primo farmaco di una nuova categoria, inibisce selettivamente la proteina di esportazione nucleare 1 (XPO1) provocando l’accumulo di proteine agenti come oncosoppressori e di recettori per i glucocorticoidi nel nucleo cellulare e inibisce la traslazione del mRNA delle oncoproteine e, di conseguenza, ripristina e amplifica la funzione di soppressore tumorale della cellula e induce l'apoptosi.
Ibrutinib in monoterapia si è dimostrato efficace nel trattamento della macroglobulinemia di Waldenström (MW) recidivata. Lo studio multicentrico randomizzato INNOVATE ha valutato l’effetto dell'aggiunta di ibrutinib a rituximab in pazienti affetti da MW che non avevano ricevuto precedenti trattamenti o con recidiva di malattia.
INCB040093 è un inibitore selettivo di phosphatidylinositol 3-kinase δ (PI3Kδ) di nuova generazione che garantisce una selettività da 74 a 900 volte maggiore rispetto alle altre isoforme di PI3K. INCB040093 inibisce potentemente i fattori di crescita PI3Kδ-mediati, induce apoptosi delle cellule B linfomatose umane e ha dimostrato di inibire i fattori tumorali nei modelli murini con linee cellulari ematologiche umane.
L’apoptosi indotta da INCB040093 è a sua volta inibita dall’attivazione di un pathway di JAK-STAT mediato da IL-10 in linee cellulari di linfoma diffuso a grandi cellule (DLBCL); questo effetto inibitore sull’apoptosi può essere riconvertito con l’utilizzo di un farmaco Janus kinase (JA)K1/2-inibitore.
Itacitinib (INCB039110) è un inibitore orale della famiglia di JAK con un’affinità per JAK1 di 20 e 100 volte superiore rispetto a JAK2 e JAK3, rispettivamente.
Il farmaco è stato già testato in monoterapia, in studi di fase 1, alla dose massima tollerata di 600 mg al giorno in singola somministrazione, con attività dimostrata alle dosi comprese tra 200 e 600 mg al giorno in pazienti con mielofibrosi, graft-versus-host disease, artrite reumatoide e psoriasi. Le tossicità più comuni registrate con itacitinib in monoterapia includono: astenia, tossicità gastrointestinale, mielosoppressione e immunosoppressione.
Sia ibrutinib, inibitore di BTK, sia venetoclax, inibitore di BCL2, sono molecole attive in monoterapia nel trattamento del linfoma mantellare (MCL). La percentuale di risposte complete ottenuta con ciascuna molecola, somministrata in modo continuativo, è stata del 21%. Modelli preclinici hanno dimostrato una sinergia nella combinazione dei due agenti.
Nel linfoma follicolare (FL), non esistono indicatori prognostici costruiti ad hoc su coorti di pazienti con high tumor burden trattati con immuno-chemioterapia. I due sistemi prognostici FLIPI e FLIPI2, infatti, si basano su coorti di pazienti trattati con chemioterapia (considerando che solo il 59% dei pazienti considerati nel FLIPI2 aveva ricevuto in aggiunta rituximab ai regimi di chemioterapia) di induzione. Tali score inoltre sono stati creati nell’era pre-mantenimento con anticorpo monoclonale anti-CD20. Dal lavoro di Casulo et al, pubblicato nel 2015 su JCO, sappiamo inoltre che un secondo potente fattore prognostico di sopravvivenza globale (OS) è dato dal raggiungimento o meno della sopravvivenza libera da malattia (PFS) a 24 mesi dopo un trattamento immunochemioterapico di prima linea nei pazienti con high tumor burden.
Pertanto, vi è oggi la necessità di identificare nuovi modelli clinici che tengano conto dei nuovi regimi di trattamento, che siano semplici da calcolare e che siano in grado di stratificare i pazienti con la maggior accuratezza possibile, da integrare con fattori biomolecolari che si stanno sviluppando grazie alle tecniche di gene expression profile.
Rituximab associato a chemioterapia rappresenta oggi lo standard di trattamento in prima linea nei pazienti affetti da linfoma follicolare (FL) con high tumor burden. Nonostante questo trattamento combinato sia altamente efficace, circa la metà dei pazienti va incontro a recidiva di malattia. Questo ha portato nel corso degli anni a testare terapie che avessero come obiettivo quello di ridurre le tossicità nell’ipotesi di dover ritrattare più volte nel tempo i pazienti affetti da tale patologia. Lenalidomide ha dimostrato un’attività promettente nei linfomi indolenti B in associazione a rituximab. Nel 2016 Fowler e colleghi hanno pubblicato i risultati di uno studio di fase II in pazienti affetti da FL in prima linea con lo schema chemo-free rituximab-lenalidomide dimostrando l’alta tollerabilità associata a risposte molto promettenti. Lo studio però aveva visto l’arruolamento di pazienti con malattia avanzata ma che necessitavano di una terapia, secondo i criteri GELF, solo in una minoranza di casi.
La leucemia acuta mieloide (LAM) con la mutazione allelica di NPM1 è stata identificata come una forma di leucemia a sé stante rispetto alle altre forme de novo e nella revisione della classificazione internazionale (WHO - World Health Organization classification) effettuata e pubblicata nel 2016 è stata descritta come entità separata associata a una prognosi favorevole. Nonostante siano stati già effettuati studi volti a valutare NPM1 in un modello binario, si conosce ancora poco sul significato della carica allelica mutata determinata alla diagnosi, così come non sono ancora stati ampiamente indagati gli effetti delle co-mutazioni (differenti da FLT3).
Le mutazioni nel gene codificante per l’enzima isocitrato deidrogenasi (IDH)1 si riscontrano nel 6–10% dei pazienti con leucemia mieloide acuta (LMA). Ivosidenib (AG-120) è una molecola di piccole dimensioni ad assunzione orale capace di inibire la forma mutata di IDH1. Su NEJM DiNardo et al. presentano gli interessanti risultati dello studio di fase 1 che ne ha testato scurezza ed efficacia.
La rarità delle cellule neoplastiche nella biopsia del linfoma di Hodgkin (cHL), impone importanti ostacoli tecnici che finora hanno limitato gli studi genomici. Gli Autori hanno valutato il DNA tumorale circolante (ctDNA) come una fonte di DNA tumorale per analizzare le mutazioni del profilo genetico e come materiale per il monitoraggio della malattia.
Nei pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) l’outcome dopo chemio-immunoterapia rimane eterogeneo e gli indicatori prognostici in uso non sono precisi nell’identificare i pazienti che non risponderanno al trattamento. Kurtz et al. hanno analizzato il valore prognostico del DNA tumorale circolante (ctDNA) prima e durante la terapia nel predire l’outcome nel DLBCL.
The Lancet Oncology
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Selecting initial therapy for newly diagnosed Waldenström macroglobulinemia
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Venetoclax in chronic lymphocytic leukaemia: A possible cure?
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Efficacy of a survivorship-focused consultation versus a time-controlled rehabilitation consultation in patients with lymphoma: a cluster randomized controlled trial
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