L’associazione di rituximab alla chemioterapia standard ha decretato un miglioramento significativo della sopravvivenza nei pazienti affetti da linfoma follicolare. Obinutuzumab è un anticorpo monoclonale anti-CD20 di seconda generazione.
In questo trial di fase III gli sperimentatori hanno voluto comparare l’efficacia di obinutuzumab in combinazione a chemioterapia con il trattamento standard di immunochemioterapia con rituximab in pazienti affetti da linfoma follicolare high tumor burden in prima linea.
Regimi di trattamento chemo-free con associazione di ibrutinib in monoterapia e di lenalidomide e rituximab in combinazione hanno dimostrato un’elevata attività nei pazienti affetti da linfoma mantellare (MCL) recidivati/refrattari. In questo lavoro gli Autori hanno ipotizzato che l’associazione delle tre molecole potesse potenziarne l’efficacia rispetto ai dati precedentemente pubblicati con le stesse molecole utilizzate in monosomministrazione.
Il linfoma mantellare è considerato una patologia incurabile. Nonostante il rate di risposte complete sia elevato dopo l’immunochemioterapia di prima linea seguita da chemioterapia ad alte dosi di consolidamento, i pazienti vanno incontro a recidiva.
In questo studio di fase III gli sperimentatori hanno voluto valutare l’impatto sul prolungamento della risposta data dalla terapia di mantenimento con rituximab alla dose standard di 375 mg/superficie corporea ogni due mesi per tre anni.
Pazienti affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B che risultano refrattari al trattamento standard e alla chemioterapia ad alte dosi o che vanno incontro a recidiva hanno una prognosi infausta. In letteratura sono riportati numerosi dati positivi sull’utilizzo delle cellule T modificate nella sub-struttura del recettore per l’antigene chimerico (CAR) anti-CD19 contro le cellule B tumorali, anche se i dati concernenti studi sui linfomi B sono scarsi.
Studi di fase I hanno dimostrato come la terapia con cellule T autologhe con recettore antigenico chimerico anti-CD19, axicabtagene ciloleucel (axi-cel), permettano di ottenere risultati positivi nel trattamento di pazienti affetti da linfoma diffuso a grandi cellule B refrattario che hanno fallito un precedente trattamento convenzionale.
L’obiettivo di questo lavoro è stato di sviluppare uno score prognostico per pazienti affetti da mielofibrosi primitiva con età ≤70 anni candidati a trapianto allogenico, integrando dati clinici citogenetici e di biologia molecolare.
Sono stati pubblicati i risultati dello studio HD18 condotto dal Gruppo cooperativo Tedesco GHSH e disegnato per valutare la possibilità di modulare il trattamento del linfoma di Hodgkin in base alla risposta PET dopo 2 cicli di eBEACOPP (bleomicina, etoposide, doxorubicina, ciclofosfamide, vincristina, procarbazina e prednisone) (PET2), incrementando il trattamento nei pazienti PET2 positivi e riducendolo in caso di negatività.
La eBEACOPP è un regime polichemioterapico molto efficace negli Hodgkin in stadio avanzato ma gravato da un importante carico di tossicità, pertanto l’identificazione di pazienti che possano essere curati con una minor intensità di trattamento rappresenterebbe un’importante ottimizzazione del percorso di cura.
Gallamini et al. hanno pubblicato su JCO i risultati dello studio GITIL/FIL HD0607 ideato per valutare l’outcome in termini di progression-free survival (PFS) dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin ad alto rischio trattati con una strategia di trattamento adattata al rischio, determinato in base alla valutazione dell’interim PET dopo due cicli di trattamento con ABVD (PET2).
La POEMS è una sindrome rara e invalidante definita dalla presenza di neuropatia Periferica Organomegalia, Endocrinopatia, componente Monoclonale e alterazioni della cute (Skin) ma caratterizzata da numerose altre manifestazioni cliniche tra cui ascite e versamenti e da incrementati livelli sierici di VEGF (vascular endothelial growth factor). Sul BJH sono riportati i risultati di uno studio prospettico multicentrico che ha testato l’efficacia della lenalidomide in associazione al desametasone nel trattamento di questa rara patologia, partendo dal presupposto che il farmaco potesse essere attivo nel controllo dei sintomi grazie alla sua attività antiangiogenica.
Attualmente lo standard di trattamento nei pazienti con nuova diagnosi di mieloma multiplo (MM) non candidabili a chemioterapia ad alte dosi è la combinazione bortezomib, melphalan e prednisone (VMP). L’aggiunta alla tripletta dell’anticorpo monoclonale anti-CD38 daratumumab, efficace da solo o in combinazione nel MM recidivato refrattario, è stata testata nello studio ALCYONE.
Lo studio ASPIRE ha posto a confronto carfilzomib, lenalidomide e desametasone (KRd) rispetto a lenalidomide desametasone (Rd) in pazienti con mieloma multiplo recidivato o refrattario. Erano già stati pubblicati i dati di efficacia in termini di progression-free survival (PFS) e di tasso di risposte complessive e remissioni complete, i ricercatori hanno ora pubblicato i dati dell’analisi prespecificata di sopravvivenza (OS) e di sicurezza. Lo studio ha raggiunto l’obiettivo chiave secondario della OS, dimostrando che l’aggiunta di carfilzomib a lenalidomide e desametasone (KRd) aumenta la sopravvivenza (hazard ratio – HR: 0,69; p <0,001).
Sono stati pubblicato su JCO i risultati iniziali dello studio BFORE, un trial di fase III condotto nei pazienti con leucemia mieloide cronica (LMC) in fase cronica all’esordio, che ha posto a confronto imatinib e bosutinib in termini di efficacia e sicurezza. Bosutinib è un potente inibitore delle tirosin-chinasi di seconda generazione, attualmente approvato per il trattamento della LMC Philadelphia positiva resistente e/o intollerante ai trattamenti precedenti.