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I regimi di combinazione hanno migliorato la prognosi nei pazienti affetti da mieloma multiplo. Lancet ha riportato i risultati dello studio randomizzato SWOG S0777 disegnato per valutare l’impatto dell’aggiunta dell’inibitore del proteosoma bortezomib al trattamento con lenalidomide e desametasone nei pazienti con nuova diagnosi di mieloma multiplo e non candidato a trapianto.
I dati di efficacia ottenuti negli studi di fase 1 e 2, nel mieloma multiplo recidivato refrattario, con l’anticorpo monoclonale anti-CD38 daratumumab in monoterapia o in combinazione con lenalidomide e desametasone, sono promettenti. Sul NEJM Dimopulos ha presentato i risultati dello studio di fase 3 POLLUX che ha confrontato la tripletta daratumumab, lenalidomide e desametasone con la combinazione classica lenalidomide-desametasone.
Il blinatumomab è un anticorpo bispecifico che, legandosi contemporaneamente ai linfociti T citotossici CD3 positivi e ai i blasti Cd19+ della leucemia linfoblastica acuta (ALL), consente il riconoscimento e la distruzione delle cellule leucemiche da parte dei linfociti del paziente. Ne è stato approvato l’uso nelle leucemia linfoblastica acuta a precursori B recidivata/refrattaria sulla base di un singolo trial di fase 2 che ne evidenziava l’efficacia e la sicurezza d’impiego (Topp MS, et al. Lancet Oncol 2015; 16: 57).
Sul NEJM Kantarjian et al. hanno pubblicato i dati del trial di fase 3 che ha posto a confronto il monoclonale con la chemioterapia standard confermando il beneficio conferito dall’uso di blinatumomab in questo setting di pazienti in termini di event-free survival (EFS) e overall survival (OS).
Le mutazioni genetiche guidano la patogenesi delle sindromi mielodisplastiche (MDS) e ne determinano al fenotipo clinico. Il trapianto allogenico è l’unica strategia curativa disponibile per i pazienti affetti da MDS, ma ad oggi, resta una procedura gravata da rischio di mortalità per complicanze o recidiva. Su NEJM sono riportati i risultati di un ampio studio condotto per valutare il significato predittivo delle mutazioni somatiche identificate in campioni di sangue di pazienti con MDS nel predire l’efficacia del trapianto.
La decitabina (DAC) è un agente ipometilante il DNA registrato per il trattamento della leucemia mieloide acuta (LAM) nei pazienti non pretrattati e che non siano candidabili alla chemioterapia di induzione standard. La dose a cui il farmaco è registrato è di 20 mg/m2/die per 5 giorni consecutivi. I risultati ottenuti nelle LAM indicano percentuali di remissione completa (RC) intorno al 25% e un tasso di risposta complessiva, vale a dire RC + RC con incompleto recupero ematologico (RCi), fino al 35%. Risultati migliori sono sati riportati in studi di fase 2 basati su una esposizione prolungata al farmaco (20 mg/m2 per 10 giorni).
Sono stati condotti diversi studi con l’obiettivo di identificare marcatori biologici predittivi di risposta a DAC, ma i risultati restano controversi e comunque non in grado di essere impiegati nella pratica clinica per l’ottimizzazione della terapia. Welch JS et al. hanno pubblicato sul NEJM gli interessanti risultati ottenuti in uno studio monocentrico disegnato per identificare la relazione tra la presenza di mutazioni somatiche e risposta al trattamento prolungato con decitabina.
Etienne e colleghi hanno pubblicato i dati finali dello studio STIM1 che, con oltre sei anni di follow-up, conferma che imatinib può essere sospeso in sicurezza nei pazienti affetti da leucemia mieloide cronica con malattia minima residua (MDR) non rilevabile confermata per due anni.
Si tratta di lavoro di metanalisi su 13 trial clinici prospettici randomizzati, con applicazione di strumenti statistici complessi che affermano il ruolo della valutazione della risposta al trattamento a 30 mesi (ossia al termine della terapia di prima linea comprendente il mantenimento) con PET.
La CR30, in parallelo alla POD24 (vedere lavoro Casulo riportato nel primo numero del 2015), rappresenta uno strumento prezioso che potrà essere utilizzato nei trial clinici con nuovi farmaci, per stratificare con più accuratezza e in tempi più celeri i casi, permettendo di selezionare terapie sempre più ad hoc per il singolo paziente.
Come riportato nella nuova revisione WHO 2016 delle patologie linfoproliferative croniche (Blood Journal, June 2016), i linfomi double-hit (DHL) e i linfomi double-expressor (DEL) sono dei sottotipi di linfoma diffuso a grandi cellule B che hanno un outcome particolarmente sfavorevole dopo un trattamento di immunochemioterapia standard (es. R-CHOP) e per i quali non esiste ad oggi un consenso su quale sia il trattamento d’elezione. Ancor meno chiare sono le informazioni sull’outcome dei pazienti con istologia DEL o DHL nel contesto della malattia in recidiva o refrattaria che ricevono un consolidamento con alte dosi in seconda linea di trattamento.
In questo lavoro gli Autori hanno raccolto in modo retrospettivo i casi di DLBCL sottoposti a chemioterapia ad alte dosi in seconda linea di trattamento, per studiare l’impatto prognostico dello stato DEL o DHL sull’outcome della chemioterapia ad alte dosi in pazienti recidivati/refrattari con DLBCL.
Il potenziale beneficio della chemioterapia ad alte dosi nei pazienti affetti da DLBCL nel contesto della terapia di prima linea è ancora materia di dibattito a livello internazionale. In questo studio gli Autori hanno voluto saggiarne la reale efficacia disegnando un trial di fase 3, prospettico, di confronto tra il regime standard con rituximab associato a ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone (R-CHOP)-14 (per 8 cicli) e rituximab associato a chemioterapia sequenziale ad alte dosi con supporto di cellule staminali autologhe (R-HDS+ASCT).
In questo studio gli Autori hanno voluto stabilire il valore della determinazione della malattia minima residua (MRD) in correlazione alla risposta clinica al trattamento nei pazienti affetti da BLLC in accordo ai criteri di risposta del Workshop internazionale sulla leucemia linfatica cronica (CLL) del 2008.
Idelalisib è un inibitore selettivo di PI3Kδ, approvato per il trattamento dei pazienti affetti da BLLC recidivati in associazione con rituximab. In questo studio gli Autori hanno voluto valutare l’efficacia e la sicurezza di idelalisib in associazione a ofatumumab, anticorpo monoclonale anti-CD20, in un setting di pazienti simile.
Bendamustina associata a rituximab è considerato il trattamento standard dei pazienti affetti da BLLC recidivati/refrattari anche se non quello ottimale. Nuove strategie terapeutiche sono necessarie per migliorare l’outcome di questi pazienti. In questo studio gli Autori hanno voluto testare l’efficacia e la sicurezza dello schema R-bendamustina associato a idelalisib, un inibitore target di prima generazione di PI3Kδ nella popolazione di pazienti con BLLC recidivati/refrattari.
Il linfoma della zona marginale (MZL) è una patologia tumorale delle cellule B eterogenea per la quale non esiste un trattamento standard di riferimento. Il MZL è frequentemente associato a un’infezione cronica che potrebbe indurre un’attivazione costitutiva del recettore per le cellule B (BCR) con conseguente sopravvivenza e proliferazione aberranti delle cellule B.
In questo lavoro gli Autori riportano i risultati di uno studio di fase II multicentrico aperto condotto per valutare l’efficacia e la sicurezza di ibrutinib in pazienti affetti da MZL precedentemente trattati.
Emmons KM, Colditz GA.
Realizing the potential of cancer prevention - The role of implementation science
N Engl J Med 2017; 376: 986–990
van Dorp W, et al.
Recommendations for premature ovarian insufficiency surveillance for female survivors of childhood, adolescent, and young adult cancer: A Report from the International Late Effects of Childhood Cancer Guideline Harmonization Group in collaboration with the PanCareSurFup Consortium
J Clin Oncol 2016; 34: 3440–3450